Archivio della categoria: Arturo Maria Licciardi (I Parte), La madre, -XVII poesia fuori Collana- (Aggiornamento al 7 Maggio 2017)

Arturo Maria Licciardi – fuori Collana –

I PARTE

Le Poesie di Arturo Maria Licciardi
Dimenticando la morte

– POETI CONTEMPORANEI –
Cultura Duemila Editrice,1992

Concerto no 1 in F major, Ada

Ti vogliamo ricordare così, fratello -che
nasci a Palermo il 20 Settembre 1942
e
lasci le tue ceneri a Merano il 7 Maggio 2016-,
ascoltando con Te un brano, non scelto, di uno dei tuoi
Compositori preferiti e da te più amati,

Johann Sebastian Bach
e

tanti altri a seguire …

Mischa Maisky plays Bach Cello Suite No.1 in G (full) – YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=mGQLXRTl3Z0

ed … oggi, 7 Maggio 2017,
ricordiamo te, fratello caro, che, un anno addietro,
lasciavi per sempre e la tua amata Merano e … noi,
increduli e sgomenti
ancor oggi che son trascorse
ben 4 Stagioni:

La Primavera https://www.youtube.com/watch?v=RnwuF-MCRuo
L’Estate https://www.youtube.com/watch?v=KYfNaL9lODs
L’Autunno https://www.youtube.com/watch?v=zqx37cBz_no
L’Inverno https://www.youtube.com/watch?v=eH4oGJcCzdM

 

I

Oltre il suicidio
di Arturo Maria Licciardi

vivo i miei giorni
e il vero
mi sta discosto
ahimè!
sempre quel tanto
che mi congiunge al cielo
più che ribelle
autonomo
m’inoltro
di là dagli idoli sepolti
e non c’è padre
che mi possa amare
né madre amata
e amici

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Oltre il suicidio, Cultura Duemila Editrice,1992, p.9).

II

L’eterno divario
di Arturo Maria Licciardi

cercai l’illusoria distanza
il senso delle perenni congiunzioni
e trovai sempre la frattura
quell’eterno divario
tra ciò che fu
e ciò che sarà domani
il mio bianco inverno polare
l’istante che vuol volare
e lo trattengo invano
non c’è futuro
per quegli istanti vani
essi son morti
quando li colgo
al tintinnar del lume alla finestra

in quella casa
dalle tante lune alle pareti
le morte lune
oh misero!
chi donò all’ingrato
la parola estrema
la velenosa freccia
che favorì il sudario
e quale lordura sopportò l’inerme
colpito al cuore
sulla tavola scura

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, L’eterno divario, Cultura Duemila Editrice,1992, p.10).

III

Dormi bambino
di Arturo Maria Licciardi

e tu
dormi bambino
dormi
morbida vien la notte
a raggelar le stelle
dormi
che il lago di cristallo
quieto
sereno ti sorveglia
e sul tuo sonno
placida
veglia l’indifferente luna
sogna bambino
sogna
che il guscio a trattener l’implume
sull’esile virgulto adesso è vuoto
e va
pei sconfinati cieli
disteso il canto tuo errabondo
tra monti e valli
dirupi e verdi piane
giù per sentieri inesplorati
libero
al limitar dell’onde
aperte l’ali
e rattristato il cuore
come volo d’uccello
sulle appuntite torri all’imbrunire
vola bambino
vola
e scioglilo in pianto
quel tenero sorriso
prima che quest’inchiostro ti trafigga il cuore
e t’abbandoni ai giorni

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Dormi bambino, Cultura Duemila Editrice,1992, pp.11-12).

IV

Una parte lontana del cielo
di Arturo Maria Licciardi

c’è una parte lontana del cielo
sicura
dove vanno a dormire le stelle
la luna
dove i bimbi son tutti capaci di amare
e quel vuoto
è più pieno a Mileto
Abdera
Zenone! l’ascolti Leucippo d’Elea?
divampa il congenere urto
l’incendio
l’eterno bisogno d’amore
e quel vuoto
a donare certezza a quei soli
il contatto
e poi l’apparenza …
ci assegni Leucippo l’esser vicini
la terra?
oppure quell’astro che nasce dall’urto
e risplende
la gioia amico
per le cose più belle

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Una parte lontana del cielo, Cultura Duemila Editrice,1992, p.13).

V

Il primo abbandono
di Arturo Maria Licciardi

la culla restò vuota
quella sera
come favola a bimbo tenero e solo
e gli occhi s’inumidirono
e piansero
per il primo abbandono

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il primo abbandono, Cultura Duemila Editrice,1992, p.14).

VI

Il mio mondo privato
di Arturo Maria Licciardi

amò celarsi la natura
al risorgente sole
e il privato mistero
fecondò l’attesa di evanescenti giorni
ali soffiate da fantasie remote
giochi di bimbo
dentro gabbie sicure
e abitai quel luogo che mai nessuno amò
tra sapienza e ignoranza
alla maniera della povertà
come vecchio dormiente appeso a un chiodo
e fu solo un cane
figura arcana riversa al suolo
che vegliò silente alla viva parete
eterno ritorno
sconfinare andare di porta in porta
il mio mondo privato

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il mio mondo privato, Cultura Duemila Editrice,1992, p.15).

VII

Addio
di Arturo Maria Licciardi

incerti padri
e bacche
su vestigia antiche
gravidi di simiglianza
e ciechi
da baglior rapiti
guardate voi questa mia luna
e Pallade
dei tanti nomi
nome!
quel ramoscel d’ulivo
Athena
intelligenza e canto
e Posidone resta
abbandona l’Egina
l’isola e il tempio
Eaco!
i Mirmidoni dormono
e dalla stanza adusa al canto
io vi risveglio
e la poesia mi manca
la cieca apparenza
e questa voglia che m’imbriglia il pianto
addio
padri consunti
madri
e culla avita
addio
oblio di una tendenza cara
solo l’oblio vi salva
il lungo salto
addio!
io il paradosso
io il trasparente
e nell’afflato cresce il vento
e si disperde
io in quell’uomo
e non ha fede abbastanza il Cristo
nel deserto dei tartari
padri!
pensate voi
che le parole giungano a conficcarlo in croce?
e la salita al Golgota
è già rifiuto
come il grigior di Socrate
imperturbabile nella coscienza
l’abbandonato che s’è opposto al mondo
e non si elimina con le parole Dio!
filosofia del singolo
filosofia del tutto
io nello slancio
e mi sfracello al suolo
verità incarnata
punto d’incontro
addio

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Addio, Cultura Duemila Editrice,1992, pp.16-17).

VIII

Canto di Orfeo
di Arturo Maria Licciardi

la navigazione
procedeva lenta verso il mare
e Orfeo
grazie alle Muse
fu sollevato in alto
tanto in alto
che d’Alessandria il celebre museo
e poi d’Atene
vide le sponde
il remator di Tracia
nulla che lo portasse in Ade
se non Necessità
il nume chtonio ed infero di Terra
ben altra cosa Alceste
che si morì d’amore
Orfeo volle salvare il corpo
e pari a quel tale
cui Simposio assegnò vago sembiante
venne sbranato animal divino
dagli ebbri di canto
e donne
anzi che dardo lo colpisse in alto
le cerimonie sacre
ed i misteri
fosti fedele Orfeo
ad Oceano dalla bella corrente
o la stagion felice l’avesti in sorte?
il dio
come dice anche l’antico
s’inumidì di pianto
per la morte di Orfeo
e la superbia
animò del canto la bellezza
e come pelle al dorso
gli aderì perfettamente
l’inerte notte

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Canto di Orfeo, Cultura Duemila Editrice,1992, pp.18-19).

IX

Le donne di Ustica
di Arturo Maria Licciardi

le vecchie donne
mi si presentarono amiche
simili a fiochi lumi alle finestre
e al tramonto
il dolce scampanio della preghiera
riportava i tondi nodi del rosario
tra quelle dita usate ad asciugare piatti
e panni
sul Calvario
vecchie amate donne
stridule voci a rammendare il tempo
io più non trovo le dignitose trame
quegli amari sorrisi all’imbrunire
e il vostro amor trafitto dai mille affanni
traversavo l’infanzia
allora!
e le strade odoravano di mosto e di conserva
ah! quei ciottoli sicuri
tra ciuffettini d’erba ingialliti al sole
ben levigati
dal vostro faticare lento
e quei cesti di foglie di fico
generosi in quei chicchi d’uva
ad addolcire il sole
la bocca allo straniero
io…
vi vedevo passare
di tanto in tanto
e dietro le imposte socchiuse
screpolate fessure dal troppo guardare
voi
vegliavate intente
il vostro amor perduto
quel figlio lontano che si calò in miniera
e i pesanti zoccoli degli asini
tornavano puntuali
a riecheggiare l’aria nell’ora del rosario
fuori
sgravato il peso
una mula
chiudeva nei suoi grandi occhi
tutte le stelle

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Le donne di Ustica, Cultura Duemila Editrice,1992, pp.20-21).

X

Dimenticando la morte
di Arturo Maria Licciardi

la vita dimenticò la morte
e la dimenticò
chi perseguì l’eterno balenar delle parole
finzioni e putride minacce
rivendicate in nome dell’assenso
l’assenso triste
di chi sta sotto l’arrovellato dardo
salvar la pelle!
e me n’accorsi invano
quando cercai la guida
l’amoroso gesto
che mi portasse a nozze col demonio
io tra le fragole e le more
tutte inventate ormai
tutte dipinte
sui muri sporchi della via

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Dimenticando la morte, Cultura Duemila Editrice,1992, p.22).

XI

Viandante
di Arturo Maria Licciardi

dormi viandante
sotto le stelle
nomade dal grande cuore
tenda leggera e canto
umido sotto la sabbia
vento!
e ti disperde l’oasi
il sonno di Dio

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Viandante, Cultura Duemila Editrice,1992, p.23).

XII

L’attesa
di Arturo Maria Licciardi

chi leggerà un giorno le parole
e quali palpiti vivrà questo mio cuore
quando l’età mi chiamerà in disparte
e mi dirà cantando …
tra i rami e gli irti passi
guarda c’è un ramoscel d’ulivo
tienilo caro al cuore
ma ascolta e non mentire
tu lo raccogli invano
se coprirai le gemme all’ombra del desio
tu lo vedrai appassire
tra i verdi muschi del mattino
ed i folletti del trepidante bosco
a primavera
rideran forte della tua mesta attesa

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, L’attesa, Cultura Duemila Editrice,1992, p.24).

XIII

Nella brughiera
di Arturo Maria Licciardi

io vivo per strada
e la mia casa è vuota
non posso mentir nella brughiera
lì non mi vede alcuno
tranne che l’uccellin del prato
che come me
becca il lombrico e vola

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Nella brughiera, Cultura Duemila Editrice,1992, p.25).

XIV
Il tempo non esiste
di Arturo Maria Licciardi

ora son vecchio e solo
e la sorella trascino per la via
sull’usato pentagramma
qualche stanco solfeggio
e un adeguato prezzo a ore
dinanzi alla casa
il vecchio albero
mostra la mesta chioma
tra i venefici sapori di un traffico impazzito
distrattamente …
m’affaccio ancora alla finestra
il ricordo!
e la vita alle spalle
è troppo dura da raggiungere
alzo gli occhi
e il tempo non è mai passato
il tempo e lì
su tutto quello che il nostro amor trascura

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il tempo non esiste, Cultura Duemila Editrice,1992, p.26).

XV
Il grido
di Arturo Maria Licciardi

sono un ponte
un gabbiano
e non so dove andare
mi rannicchio nel passo febbrile
e mi stiro disteso
a guardare
ed è …
come se uno mi ridesse alle spalle
e dalla putrida bocca gli uscisse il serpente
la notte di un bimbo dormiente
e gli incubi a un passo
la luce
e la porta sbattuta sul muso
e poi al buio
il nero cristallo in frantumi
e giù fra le schegge
paure e sussulti
e i neri fantasmi seduti sul letto
come tristi presagi
si posano lievi le umide gocce alla fronte
e poi il grido mi toglie l’angoscia
mi prende
mi sfianca
e corre il cavallo sull’acqua
e spruzza lo zoccolo schiuma
tempeste
e germoglia il sentiero di rose
mia madre ch’accorse
e son tante le spine che colgo mature
la sera
attendo le gracili gambe di legno
e quand’apro la porta a nessuno
vedo il mare schiumoso di vento
i sussurri
e fors’anche l’inferno

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il grido, Cultura Duemila Editrice,1992, pp.27s.)

XVI
Venerdì Santo
di Arturo Maria Licciardi

e gli sgherri mi passarono accanto

quella sera

dopo che gli occhi si dilatarono

alla vista del Cristo morto

in quell’attimo traversai il mondo

e non capii quel pianto

che pur mi diede lluci e anni

il seme cadde

e nacque da calda goccia l’umido germoglio

la mia follia

li ricordo ancora quei momenti sospesi

e il magico stupore degli occhi

e gli incensi

e quella folla

e poi le braccia del millenario arbusto

a sollevarmi piano

dacché la Madre dal gran manto nero mi passò

vicino

e la banda

e i piatti a sbatter forte negli orecchi

e il fumo di quei ceri

ah! quella sera

e tu dov’eri amico

cosa guardavano i tuoi occhi

e li vedesti tu i miei occhi

e gli occhi della madre che dispera?

e la musica

ah! non l’udisti tu

la musica

e come vibrava sugli impazziti fiati

stanca

musica stonata

eterno grido di fanciullo

che cresce

invoca

e presto s’allontana

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il grido, Cultura Duemila Editrice,1992, pp.29s.)

XVII
La madre
(Arturo Maria Licciardi)

corre la notte
e il cielo è tutto scuro
non un barlume
un fioco tremulo ondeggiare
gli occhi son chiusi ormai
e fredde
le palpebre
soggiacciono ai guanciali
dorme la bimba ch’era bionda
ed i capelli son diventati cenere
or che i cocenti raggi a mezzogiorno
son troppo corti per quell’oro fino
e il corpo è buono solo da bruciare
dove sei stata amabile sorella
e quali rose hai colto sul sentiero
or che il tuo nome è petalo odoroso io ti saluto
e pallida è la vita ch’era tua
oggi
madre!
quella vita è solo mia
domani ci penserà il destino a riportarmi a riva
sul dorso d’un destriero
attendi adorata!
anche al di là dei monti nasce la speranza
guarda com’è arrossato il cielo
il sole tramonta lento
ma non muore

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi,La madre, Cultura Duemila Editrice,1992, p.31.)    –> II PARTE