Monaco piano -XXX poesia fuori Collana- (poesia di Arturo Maria Licciardi)

in Archivio della categoria: Arturo Maria Licciardi (II Parte),

La parola, -XVIII poesia fuori Collana-
La vita un gran burlone -XIX poesia fuori Collana-
L’ombroso organo sessuale -XX poesia fuori Collana-
Il segno -XXI poesia fuori Collana-
L’estremo esilio -XXII poesia fuori Collana-
Una vita sprecata -XXIII poesia fuori Collana-
Il dio maggiore -XXIV poesia fuori Collana-
Il salto del camoscio -XXV poesia fuori Collana-
Il poeta e il tempo -XXVI poesia fuori Collana-
Tienanmen -XXVII poesia fuori Collana-
Naufrago -XXVIII poesia fuori Collana-
Il mantello -XXIX poesia fuori Collana-
Monaco piano -XXX poesia fuori Collana-

(Aggiornamento all’11 Marzo 2018)

Arturo Maria Licciardi – fuori Collana –

II PARTE

Le Poesie di Arturo Maria Licciardi
Dimenticando la morte

– POETI CONTEMPORANEI –
Cultura Duemila Editrice,1992

Concerto no 1 in F major, Ada

Ti vogliamo ricordare così, fratello -che
nasci a Palermo il 20 Settembre 1942
e
lasci le tue ceneri a Merano il 7 Maggio 2016-,
ascoltando con Te un brano, non scelto, di uno dei tuoi
Compositori preferiti e da te più amati,

Johann Sebastian Bach
e

tanti altri a seguire …

Mischa Maisky plays Bach Cello Suite No.1 in G (full) – YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=mGQLXRTl3Z0

ed … oggi, 7 Maggio 2017,
ricordiamo te, fratello caro, che, un anno addietro,
lasciavi per sempre e la tua amata Merano e … noi,
increduli e sgomenti
ancor oggi che son trascorse
ben 4 Stagioni:

La Primavera https://www.youtube.com/watch?v=RnwuF-MCRuo
L’Estate https://www.youtube.com/watch?v=KYfNaL9lODs
L’Autunno https://www.youtube.com/watch?v=zqx37cBz_no
L’Inverno https://www.youtube.com/watch?v=eH4oGJcCzdM

 

XVIII

La parola
di Arturo Maria Licciardi

questi fogli crescono
e forse non sono sogni le parole
nelle parole domina l’istante
che l’illusoria luce vuol fermare
essa ti dà la spinta
e poi scompare
forse che la poesia
ha sconfitto il sogno
e lo divora?
fratello che te ne stai in ascolto
prenditi il sogno
e a me lascia la paura!
possa gridarle alfin le tue parole
e rinfacciarti il misero abbandono
e di paura
Dio!
dammene tanta
ch’io la trasudi tutta
anzi che morte fin d’ora la consoli
il mio passato
è questa sabbia che finisce
il mio futuro
è comunione di spiriti beati
e la parola
non è mai stata segno
come ora

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, La parola, Cultura Duemila Editrice,1992, p.32).

XIX

La vita un gran burlone
di Arturo Maria Licciardi

sembra la vita un gran burlone
e più che alla fiaba e agli aquiloni
spinge silente ai batticuori
ai grigi percorsi
e poi ai ritorni …
e il funambolo in volo
chi lo riporta in salvo?
e chi ci salva,  a noi
che siam volati ormai da nove lune
e non c’è terra in vista
nocchiero!
sganciali i marinai
al gozzoviglio usuale
e affida questa chiatta al tuo fondale
ma non tornar mai più da queste parti
che più del naufragar
s’addice il volo
a chi dei crucci seppe riempir la storia
e la risolse

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, La vita un gran burlone, Cultura Duemila Editrice,1992, p.33)

.

XX

L’ombroso organo sessuale
di Arturo Maria Licciardi

s’aprì fra le rovine
in fatiscente porta
in via del Giardinaccio
e il vecchio
rinverdì quel ramo
che si coprì di gemme
a primavera
ricurvo
il tempo
accolse l’anima disposta
e vivo rimane ancor
l’anelito e il ricordo
di quella bocca che bagnò la luna
bocca di bimbo
tra la veglia e il sogno
canto sospeso in quel fruscio di paglia
dietro quel muro
e quella porta chiusa

 

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, L’ombroso organo sessuale, Cultura Duemila Editrice,1992, p.34)

 

XXI

Il segno
di Arturo Maria Licciardi

spinsi al di là del cielo
la rutilante pietra
e ritornai puntuale
allo sconforto dell’infinita vacuità mondana
la vita prese a rigridarmi il segno
ed io fuggii costretto a riparar dal masso
quale il senso del peregrino sforzo?
quale il segreto di quel supremo slancio
che spinge l’uomo a risalir parete?
oh verità celeste!
ben rotonda appariscenza
io devo mutare il passo
che sereno riposa sull’umido muschio
e l’affannoso peso piagherà l’impronta
di un polveroso ricader col labbro
grida il mio cuore
ai venti gelidi e funesti
quella mancanza estrema
quel dolorante amore che mi dettò un sorriso
felicità di bimbo a primavera

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il segno, Cultura Duemila Editrice,1992, p.35)

 

XXII

L’estremo esilio
di Arturo Maria Licciardi

li guardo i giorni
e li ritrovo pigri
carichi d’anni
d’efelidi e verruche
tu tra le palme
te ne stai nascosto
al limitare di Mothia
forse domani …
troverai quel legno alla deriva
che allungherà i tuoi passi
a dismisura
ah! dolorante peso
che te ne stai riverrso
chino a guardar
la flebile fiammella
schiudi le labbra
come caldo fluttuare tra questa molle cera
e grida quella parola estrema
ch’io possa sentire il semidio nascosto!
uomo ricurvo sui doloranti passi
lascia che il tempo ti sospinga in mare
e canta disteso
il lento patir per l’abbandono
l’umido guado ti prenderà la vita
e nulla vedrai
se non l’estremo esilio
quel mal tornar che ti donò la veglia
là…
sullo sfondo
l’eterno vagabondar di Dio
caro guardar da una finestra chiusa

 

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, L’estremo esilio, Cultura Duemila Editrice,1992, pp.36-37)

 

XXIII

Una vita sprecata
di Arturo Maria Licciardi

fermo nel tempo
quell’uomo alla moviola
smorzò i colori dall’affannato petto
e indifferente ai giorni
colse un sorriso
e lo cullò nel vento
vano fu il sogno
e rabberciato il volo
di quell’andar fluente a rimontar colline
e simile a chicco frantumato al sole
non fu germoglio
né succulento frutto

 

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Una vita sprecata, Cultura Duemila Editrice,1992, p.38)

 

XXIV

Il Dio Maggiore
di Arturo Maria Licciardi

amatemi!
tristi ombre di un’oscurità indefinibile
vaghi fantasmi di un’esperienza irrisolta
amatemi
e divoratemi!
nell’incoscienza di miseri e indeterminati
amplessi
sono io!
lo stesso uomo di sempre che vi viene a cercare
nei vuoti della mia opaca lucidità
oh potenza e miseria umana!
viltà profonda e virulento ardore
io vedo nell’animo mio straziato e stanco
a nulla è valso quell’ardito volo
caduto è il velo della gioconda aurora
e tutto fu vano
il mio profondo e disadorno amore
parto funesto di memorie tardive
e di follie represse
eppure …
fu bello guardare il crepuscolo sotto la palma
antica
sogno e realtà di un’esistenza vana
unica assenza
unica vita che ho ricevuto in dono
vengono a chiedermi Memoria e Oblio
cosa ho provato in quel lontano occaso
quando pensavo di poter volare
e mi mancò lo slancio
Prometeo mi sorrise invano
nella notte che tardò a venire
e Icaro
davanti al sole
non fu più che un affannoso volo
prima che immemore
mi chiesi il senso dell’inaudito ardire
precipitai nel buio …
e si riempì di passi la foresta
passi affrettati
passi timorosi
piccoli passi come uccelli a notte
e cinguettò sui rami e non fu udito il passero
e l’usignolo tacque
cantò disteso il merlo e l’ali tenne chiuse
il becco a riposar
torse soltanto il collo ad intervalli uguali
il corvo
e lassù in cima a equilibrare i pesi
il pettirosso svolazzò distratto
e frusciò stridulo il cinguettio
volse la tortora l’ala e si assestò
sui rami a pelo d’acqua gracidò la rana
e lì da presso brillò di luce la cicala
e il gran silenzio della notte offriva quiete
e dondolava il nido di paura
ah quelle tristi ombre nella fitta oscurità!
chi siete?
e chi sono io?
no! non rispondete
restate lì
distanti
a ripassar memorie e a dileguar quest’ore
e il tempo passa
e cresce sulla pelle a inumidire il fiore
com’è d’uso alla brina quando si posa a notte
a un tratto …
si riempì di voci la foresta
e saltò il picchio
a sbatter forte con il suo becco a uncino
e baldanzosa uscì dalla sua tana la marmotta
e poi i cerbiatti
oh sì!
i cerbiatti che saltarono a notte siepi di rovo
e rivoletti
e lassù il lupo
a lampeggiar profili disperati
e poi la luna
a compiacersi gravida dell’urlo e della scena

persa negli occhi di una fata
che ritrovò il castello e il candido agnellino
a ruminar gli umidi ciuffi di gramigna
ed il ruscello appena lo guardava
distrattamente
gli lambì le gambe un serpentello
e il salto smorzò nei petali il sorriso
a quella viola scura
che profumò di sogni il mio sentiero
acciottolati passi
e calpestio di zoccoli lontani
il cavalier s’avanza
e la sua dama brama
ella l’attende sul telaio riversa
e l’occhio è stanco di guardare …
mi parve uscire dalla storia
e mi donai sorpreso alla preghiera
pregai infinito il mio Signore
che mi donasse meraviglia per gli occhi
da guardare
e quella supplica poi non fu più udita
dacché sul cuore posò lieve la pupilla
il dio maggiore!
ammutolì la voce sui gradini della chiesa
e diritta allo scopo
mirò le sue carezze nostalgia
quando cantò distesa
a rinverdir sui prati profumi di ginestra
e rivestì colori nuovi la natura
per quel bel figlio nato a quarant’anni
nato di maggio
nato a primavera

 

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il dio maggiore, Cultura Duemila Editrice,1992, p.39-42)

 

XXV

Il salto del camoscio
di Arturo Maria Licciardi

più d’una volta
lo rivide il tempo
e l’assegnò al domani la parola
ch’oggi sussurra il rifiorir di versi
e poi l’inchiostro …
teneri occhi!
grandi scuri occhi ch’eran tristi
io te il corpo
e li richiudo piano
sulle ciglia
tutti i tuoi sogni
e li conservo intatti
i tuoi pensieri
non ci saran castelli
a riposar sui monti
tutti in rovina ormai
e chi li cura poi
non li rivolle indietro
il nostro amore è salto di camoscio
leggero e sicuro
com’è sicuro il lento ricader del branco
per meglio proseguir l’ondeggiamento
salta camoscio! salta!
tutto  arrossato è il Paradiso
e il cervo immobibile dispera
la diade nascosta sorrise appena
terse il sudore
ed aspettò paziente al limitar dell’Uno.

 

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il salto del camoscio, Cultura Duemila Editrice,1992, p.43)

 

 

XXVI

Il poeta e il tempo
di Arturo Maria Licciardi

vola l’airone sul cielo pastello
e attende il pittore
il poeta
il pennello
il tenero amore che perse il suo tempo in
trastulli
dirada la nebbia sul mare
e soffia più forte la voglia
io la prendo la penna
l’artista
e coloro la voce che tace
canta rapito il fanciullo
la giovane donna di ieri
e i cortei che proteggono i giorni all’amante
i gelidi segni dell’uomo
che vuole quel tempo migliore
e il tempo fratello è già qui
ricordati della Bastiglia
e di come sciupò la vittoria
lo stupido Corso in battaglia
se pur vinta l’avesse
avrei perso io e te quel tempo
lo stesso
non vado a cercarlo il tempo migliore
chi lo trova e s’illude
degrada nel giusto peggiore
e se poi
gli venisse a mancare
al codardo
il coltello
la gelida lama
il serpente
starebbe pur sempre quell’uomo
a guardare le stelle
e a nasconderle pigro
all’ignobile cura
al demonio

.

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il poeta e il tempo, Cultura Duemila Editrice,1992, pp.44-45)

 

 XXVII

Tienanmen
di Arturo Maria Licciardi

lo studente
inseguito
salì i gradin della chiesa di Deng
e la paura si fece abitudine§
resa
quante volte hai sparato soldato al tuo cuore
alla madre che aspetta
all’eretico
Dio tornerà nuovamente
sfocerà nella carne il cammino
e lo sguardo poserà sul tranquillo Degas
su Renoir
sul portale del duomo ch’é chiuso
il popolo assiste pietoso
e il male vivifica il mondo a più voci
il patibolo
le pie voci intrecciate dei saggi
che gridano ai giovani … il tempio!
e son tutti fuggiti gli dei
la preistoria
le dodici chiavi che apron la porta
e il profumo
sul fondo del Tienanmen spento di luci
di ceri
e qualcuno rimane a pulire
respira la fuga
e poi sbalza dal sacro rituale quel tempo
perduto
i libri di scuola!
breve è la vita e l’anima in pena
altri uomini arrivano assunti
traditi
e si uniscono ai padri delusi
domani altri suoni
altre feste
a pestar sui mattoni arrossati
della piazza protetta di Ping

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, ITienanmen, Cultura Duemila Editrice,1992, pp.46-47)

 

 XXVIII

Naufrago
di Arturo Maria Licciardi

ti lasciano solo soldato di niente
la guerra è perduta
deponi le armi e affidati al nome
al nome che vive
sobbalza
e poi …
tuffati in mare coi pesci a seguire le onde
l’ellissi
e i coralli ti cingono il collo
e ti scordi che esisti
che parli
e ti escon di bocca le parole più piccole
e grandi
e poi ancora sul fondo
la barca
la corda
il tenero arpione
l’appiglio
quel placido ormeggio
e intanto la morte
e poi ancora la vita
che passa …
sul fondo
sul fondo de mare

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Naufrago, Cultura Duemila Editrice,1992, p.48)

 

 XXIX

Il mantello
di Arturo Maria Licciardi

natura come avara fortuna
e il tempo vola su quel santuario venerato
colmo di mistici stupori
e di raffronti
e chi lo dice poi
che il mistico soave ha perso il tempo
questo mio tempo che finisce
non lo guadagna lui
né io
quell’altro tempo
se poi gli piaccia
e arriva
non lo ha scelto l’eremita il suo mantello
esso era là …
sulle sue spalle

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, Il mantello, Cultura Duemila Editrice,1992, p.49)

XXX

Monaco piano
di Arturo Maria Licciardi

monaco piano
monaco lento
guardati intorno
che il tempo vola
l’ape regina nidifica il colle
le viti ingrassano
di mieli e fichi
e poi …
la paglia sul sentiero!
spalano sogni
gli amori mendichi
solo l’attesa ti rende paziente
gravido frutto
sapor tra i denti
non c’è catena che ti lega
né tempo vano
che è passato
c’è solo il nettare che è sincero
esso non vola
ti appartiene

 

(Arturo Maria Licciardi)
(in © A.M.Licciardi, IMonaco piano, Cultura Duemila Editrice,1992, p.50)

 

 

 

 

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