Il perché di tante cose (di Rosa Coddura)
Il perché di tante cose
Mi hanno detto
di contare fino a dieci,
per evitare malintesi,
mi hanno incitato
a soffiare più forte che potevo
per esprimere ogni mio desiderio.
Ho aperto e chiuso il pugno
per prepararmi all’iniezione
con un laccio emostatico
far pressione:
stimolare una vena,
metterla in rilievo
per il prelievo
mi avevano confermato
che non avrei avvertito il dolore
o che avrei sentito solo un lieve pizzicore.
Mi hanno spiegato
come vanno le cose,
ne ho imparato il sapore
conosciuto la sensazione,
e quando era troppo tardi,
ne ho apprezzato il valore
c’era solo il piatto davanti,
è rimasto il mio riflesso smaltato
le posate conserte
sintomo che non c’era più niente
e a quel vuoto anche loro si sono arrese.
Non è mai sufficiente niente:
ho perso la pazienza tante volte
dopo essermi accorta dell’errore,
ho soffiato sempre più forte
dove c’erano fiammelle ostinate
a volte ho lasciato che il vento le spegnesse
e che dei miei sforzi si prendesse merito
in un pugno ho stretto forte il dolore
per poterlo concentrare solo in un gesto,
come si stringe una veste, un lenzuolo,
far risaltare il chiaroscuro delle pieghe,
e lasciar il tessuto sgualcito delle mie pene
ma quelle volte che sembro perdere tutto
come si fa a rinnegarlo al cuore?
Si può stringere?
Forse non mi hanno spiegato tutto,
io ancora mi chiedo il perché di tante cose,
mi stupisco della consuetudine,
mi metto in competizione contro il vento,
fingo di possedere il dolore
e controllarlo in ogni suo aspetto,
ma non sono mai preparata al suo effetto.
(Rosa Coddura)