9°
… E senza dir nulla spense la luce.
Fioca
dei lumi azzurri
alle finestre
va la gazzaluna
intenta
a rischiarar
fitte
le notti a quegl’infermi
e non le giunge
soffio
di umana voglia
o piede
a ripestar le stelle
e coltre
d’infelice sonno.
a.m.l., 9°, p.49
10°
… Nella penombra attese le braccia piccine di Sara. Non pensò al vaso stracolmo …
Quando la quieta attesa
si poserà sugli occhi
non ci sarà più dubbio
il nostro amore
udrà lo scampanio leggero
e quest’erba
che si tagliò da sé.
Ascolta!
Non vedi?
E’ già volato
su colline di sole
arate d’agosto
e succose
nei grappoli rigonfi d’uva.
Ora si assottiglia
il lungo inverno dai capelli grigi
e coprirà le tane
eternamente.
Dammi la mano amico!
Tieniti forte,
ti porterò con me
nel reliquiario,
invecchieremo entrambi
e t’amerò
di là dal dormiveglia.
… L’autore non l’aveva abbandonato e la sua vita era un’occasione rara, come una casa abitata da folle di gracchianti bocche mute.
…
(a.m.l., 10°, pp.49-50)
…
11°
…
La grattaiola
delle pitruzze intagliate
fendeva l’aria
e non uno
di quanti l’abitavano
aveva il coraggio
di presentarsi al nudo
delle carte strappate
e gettate lì per la noia.
Sgualcire l’esistenza
lungo le strade di provincia
e i cavalieri di Maida
o Lazise
non se ne sarebbero dolsi.
Anzi
attaccati ai capricci
delle verande ombrose
e ai portici cadenti
sarebbero rimasti senza casa
e parenti
pur di fuggire via,
di andare
dove il risalto
s’inonda di sole,
o su pei monti agli scoscesi
e ai buchi di cielo a mulinello
come le nuvole.
Quando si ricordava del profumo
o dell’osso
che gli faceva male
giocherellava
con i giudizi dei vecchi nonni
e nessun ragguaglio
gli pioveva
sul capo dei mirtilli acerbi
o sulle vene di grano.
Assiepato come fosse un guardiano,
un pastore,
un melograno,
s’illudeva che il fiato
potesse giungere fin là
dove godeva.
Quando il teatro si popolò
i fantasmi non avvistarono nessuno
perché i pastrocchi
non avevano avuto l’accortezza
di avvisarli.
Ora il viola alle finestre imbrattava le pareti e nessuna delle cose rimaste poteva mentire agli occhi del nuovo arrivato. …
(a.m.l., 11°, pp.52-53)
12°
…
Lungo le sponde
come verde muschio,
umidi pendeano i rami
dei secolari abeti
e i cervi ridiscendeano
stanchi
coprendo di rami
e grandi corna il cielo,
mentre sul fondo
del più verde lago,
una foglia recisa
galleggiava
…
(a.m.l., 12°, p.58)
13°
…
Aprì il portellino di vetro …
E il raggio di luna
le giunse distinto
Pioveva dal cielo
tra i larici e i faggi
la bocca di un cervo
stirata,
contorta.
Tentò di ritrarsi.
Si tenne discosta.
Ma nulla le tolse
la vista del lupo
del bosco di notte,
il respiro
il lamento …
Sorpresa
Si accorse di trovarsi là.
E non c’era la morte
a guardarla,
a sorridere piano,
ma il contatto sublime
e una memoria indenne, esiliata.
E …
come se avesse anticipato
un evento
e la sua mente
una col tutto
avesse intravisto un passaggio
un verbo mai pronunziato
un giorno
proprio come uno sforzo
e un tendere oltre
per voler capire
per saperne di più.
E l’immagine
non gli apparteneva
scissa da Dio
che l’appiattiva al suolo
al cumulo morenico
alla dimenticanza
e al calpestio leggero
degli anni protesi
a inseguire un sogno.
Batteva la nube al cielo
e l’oltre
sui massi piovosi del tempo
e il gran mistero
appariva nudo
come la prima volta.
Sentì un brivido trapassarle il cuore. Prese il pastrano e uscì di corse in strada.
Ma dove andava! …
…
…
(a.m.l., 13°, pp..65ss.)
14°
[…]
Un attimo
e la vita non è più la stessa.
Un attimo di paura basta
a scacciare i sogni
e il buonumore.
Tinta pastello,
notte!
E il tagliabosco odora
i fumi lunghi
alitati da denti digrignanti
e i lampi di uno sguardo
per troppo tempo assente.
Giuseppe pensò a Sara, alla sua vita […]
(a.m.l., pp.70s.)
15° L’ADDIO A MALCESINE
L’ADDIO A MALCESINE, POESIA di a. m. l.
“Addio!”
le sfiorì da quella bocca
“addio!”
E lo portò con sé.
E mentre viaggiava veloce
non c’era punto
o incrocio che bastasse
ai suoi capelli.
Li vide sciogliersi sugli occhi
e pianse.
Ronzavan le mille braccia
d’ombra-cipresso
a far da quinte al mare,
agli inzuppati di pioggia,
agli anni.
“Addio!”
Le sussurrò a un orecchio
lo stridere convulso delle gomme
e le sterzate
parvero abbracci
e mulinelli attenti,
da non lasciarci nulla …
nulla.
Giunta che fu
dalle parti di Lazise
si fermò,
abbandonò il percorso
e si diresse al lago.
Una sirena echeggiò l’aria,
la fretta
e le parve di sognare,
di non essersi mossa,
di non essarci mai stata.
Un uomo le si avvicinò.
Non si parlarono,
restarono lì.
Poi, i contorni della notte,
si confusero ai loro corpi scuri
e non ci fu nulla,
ma proprio nulla
da poter fermare.
Questa volta
non pensò di risalire il monte,
né di raggiungere la casa
in riva al lago.
Corse più veloce la voglia
di ritornare al cuore,
al ventre.
Pensò a suo padre,
all’orologio antico,
a quella casa,
a quella vita persa …
Suo padre! … E non la volle lasciare,
credeva che casa camminasse,
te la porti in collina,
sulle onde del mare,
in vetrina …
E altre case ti stanno alle spalle.
La casa!
La casa di suo padre … abitata!
“Padre!” gli chiese,
“A che ti serve, ora?!”
“Mi serve”
Gli rispose.
“Se potessi cambiare la vita, Edda!”
Il treno dondolava stancamente
nei suoi vagoni sporcati
ed Edda ritornava …
I filari dei pioppi
non c’erano più
né le vette imbiancate
di una purezza dimenticata,
scarna.
I grilli posavano ormai
i fili volanti
dei salti meridiani
e le parole
erano quelle usate,
annoiate parole prive di poesia,
pronte alla fuga …
“Addio!”
E non pensò più ad altro.
(Arturo Maria Licciardi, Firenze 1996, 15°, pp.78ss.
16° Claudicante attesa
Claudicante attesa
…
Claudicante attesa
E sfarfallio di primule
Fra le statistiche
Degli affitti a tempo.
Malcesine così lontana,
svelto diaframma
e fuga immaginata, vaga …
I numeri civici delle stradine e gli occhi addormentati non erano, ora, che appunti irreali, esterni.
Già! Non era vita quella.
E il volo non era una rondine, né tantomeno l’aquila.
…
I posteri! Quei sordi d’orecchio. Invertire la rotta e navigare sicuri controvento, contro il tempo, contro misure a sprazzi.
Non pensava a quel tempo di dover rendere l’anima, figuriamoci … l’anima! Una parola troppo grossa per giocarci su. Eppure non gli rimaneva che quella
(Arturo Maria Licciardi – a m l –, 16°, pp.85s.)