Il nomade del deserto, 1°, s.d., Poesia di Arturo Maria Licciardi

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Non narro

la storia dell’uomo,

le date,

il presente,

gli stupidi stracci

dei mille giornali

a contare le morti,

i ritagli

e le note rafferme

dei cento profeti.

Io narro qualcosa

che alberga nel cuore

da sempre.

Il futuro,

la morte protesa

con le ali d’argento

e quel giorno

che vive perenne,

immortale

sugli idoli infranti.

La vita che è fede,

Siddharta,

l’amore

e poi ancora

la radio,

il giornale,

la rabbia

e le mani imbrattate

di nero,

la voglia che manca,

la scuola,

i ragazzi

e quest’anima paga

che giunge alla sera.

Mi sento bene

e questo

è un fatto

solo mio.

Le stelle

brillano di più

stasera.

Stasera

non era previsto

questo letto

d’ospedale

e il mio guardar

proteso.

Questa mia fede

è nuova

anche stasera

e non c’è nulla

che la possa

far mutare

in tiepido abbandono

e men che mai

in ripulsa.

Io sono nuovo,

rigenerato

e per gradi

m’avvio sereno

al sonno.

E so dove si trova

ora che gli occhi

stentano a vedere

e neanche il passo

è più sicuro

come prima.

Dio!

Io ti chiedo

una grazia.

Quell’unica che sai.

Ed hanno dubitato

di Te,

della Fortuna.

Riempi i giorni

di maturi frutti

al nomade del deserto

e vuotagli memoria

dei luoghi aviti.

Offrigli la fresca acqua

che disseta

e soffia alle spalle

del dondolante

dromedario

la dolce brezza

che ristora.

E di palmizi, poi

ritemprane l’attesa:

la lunga sosta.

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(Arturo Maria Licciardi, Il nomade del deserto, 1°, s.d.)