A se stessa (madre)
Son io, così stigmatizzata,
Fardello
Di poche cose in grembo in effetti colma:
Ricerca incessante, curiosità, fast-running,
Amore di madre e di vita.
Ho dato via tutto,
L’essenziale è rimasto non scalfito:
Il mio slancio polverizzato al cosmo
Silenzioso, perfettibile e tronco
Come vapori e fumi tendente verso l’alto
A piedi nudi verso il basso della terra
Resta solo pura Etica
E il mio “Imperativo categorico” kantiano
Di dignità umana iniettati nel sangue.
Stai in guardia, tesoro,
Che i tuoi slanci scocchino come frecce
D’amore e fuoco
Verso tenerezza di piccoli bimbi
Incastonati in barriere coralline dei fondali marini
E la mia stella rossa che viaggi felice.
Non chiedo null’altro che Lei
E il balsamo alleviante dell’Arte
Che mi apra l’infinito e tortuoso percorso.
Lei raccoglierà il mio bagaglio
Di stracci bagnati di sudore e nuvole
Per colorare il mondo
Coi suoi toni cromatici allegri.
In bilico forse, in equilibrio spero,
Dolcemente danzando tra Eros e Logos
Su una fune d’oro.
Io sarò poco sotto, piano,
La sua rete paziente ad accoglierla
Quando vorrà.
La guarderò vigile e serena
Mentre impasta un blu/giallo/bianco
A formare un turchese perfetto
E raffigurare i suoi cieli di zucchero e sole.
(Barbara Miranda, 16 dicembre 2012)