Il mio papino e …, Racconto – tratto da “I miei Racconti” -della Poetessa Lorenza Oi

Il mio papino aveva venti anni quando sono nata io, la prima figlia e tanto desiderata.. Il boom economico imperversava ma lui ha pensato bene di lasciare il suo lavoro alla Fiat per recarsi in Africa. Aveva presagito che in Italia ci sarebbero stati problemi e credo che da quel giorno il nostro cammino sia stato sempre più in salita. ” Il mondo sarà dei Cinesi e degli Arabi” ci diceva..”Abbiamo il dovere di dare stabilità alla nostra famiglia, di non far loro mancare nulla”

Ricordo che la nonna gli scriveva lettere piene di lacrime pensando che suo figlio si fosse perduto tra le capanne e gli ” zulù”

In effetti era immerso quasi nella giungla per la realizzazione di una importante raffineria della Salini Costruttori. Imparò presto il Suaili e quando dopo un anno arrivammo noi, dirigeva con tranquillità la sua officina districandosi tra un maccheronico inglese e il Suaili. Aveva capito che i suoi operai avevano bisogno di sentirsi coccolati e amati e lui era diventato quasi uno di loro.

Un giorno si ammalò di malaria e la nostra casa fu invasa di visite. Erano uomini scalzi e di colore che s’inginocchiavano ai piedi del letto e pregavano con le mani giunte, poi si congedavano in silenzio. “Asante Sana Bwana” una nenia cadenzata, intervallata da altre incomprensibili parole. Noi guardavamo attoniti perché lo trattavano come fosse un Santo e conoscendo papà credo che abbia fatto molto anche per le loro famiglie. Lui era per loro una fonte di sussistenza, di formazione lavorativa, era un raggio di sole per i loro figli.

Noi bambini iniziammo a frequentare una scuola privata ed io in prima elementare ho sostenuto gli esami con una commissione straniera. Sotto il banco avevo nascosto i biscotti “Plasmon” che ogni tanto sgranocchiavo dalla paura. ” Che brutto destino ” mi dicevo e intanto cercavo di dimenarmi con la penna sul foglio. Gli orali sono stati un trauma irreversibile, ma ho visto mamma, felice e abbronzata, arrivata lì con il mio fratellino in braccio che guardava entusiasta i professori e credo di aver capito subito che i miei esami erano stati un vero successo. “Fiuuuuu che fortuna che ho avuto … con questi signori così grandi”

Quella pagellina mi è capitata in mano di recente e non potete immaginare l’emozione che ho provato. Sono stata raggiunta subito dal rumore del mare di Dar es Salaam, le lunghe passeggiate sulla spiaggia, le alte maree che tanto scombussolavano l’animo di mia madre, il dolore al braccio a causa di un vaccino e quel dolore forte che mi prende ancora oggi che non sono più lì. Vorrei tornarvi per respirare l’essenza stessa dell’amore, un ricordo che respira nel vuoto e dove mi attacco come fosse riverberato di luce. Penso al mio papà e la sua impresa spettacolare, mamma e quel marinaio insieme per sempre mai capovolti dal mare.

Ho imparato a stringere bene la mano dell’altro, a rispettare un professore, ad amare i miei fratelli Africani, la dignità passa anche dal tuo vestito, se vuoi prega in Chiesa, altrimenti non lo fare o fallo a casa tua, se ti danno un ceffone tu non glielo rendere, ma guarda e passa. Se proprio devi difenderti fallo con tutte le forze che hai. Non mettere mai il tappo ad una bottiglia se c’è un ospite e non versargli mai il vino con la sinistra, assapora il cibo con lui sennò sei un traditore. Se ti porgono un vassoio di paste tu prendine solo una e ringrazia, anche se sei una bambina che se le sta mangiando tutte con gli occhi.

L’amore fiorisce sempre nella sua stessa forma, impara a camminare nel buio, non aver paura, rispetta, rispetta gli anziani, un bambino di colore non è bello perché ha la pelle nera ma perché è semplicemente un bambino. C’è un disordine nel fondo di me, il cielo non l’ho fatto io, c’è un meccanismo di volo che potrebbe sfuggirti di mano ma tu mantieniti forte e ricorda che se scivoli a terra non troverai sempre l’erba. Io appartengo ad un silenzio che non ti so dire, ma tu ed io caro papà, non siamo mai lontani più di un metro.

[Ph scattata in Via dei Bruno a Roma]

Il mio papà si chiamava Oi Salvatore_Ha lavorato in Africa dal 1970 al 2000, Stearling_Astaldi, Salini Costruttori_Impregilo.


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(Lorenza Oi, Il mio papino, 5 Dicembre 2021)